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Lisa Cremaschi Padri Chiesa: Antonio

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“Respirate sempre il Cristo”
La vita cristiana secondo Antonio, padre dei monaci

Antonio non è il primo dei padri del deserto in senso cronologico, ma è il primo in senso tipico.
Questo padre del deserto vissuto nel IV secolo nel deserto egiziano è considerato il padre di tutti i monaci d’oriente e d’occidente. Il patriarca di Alessandria, Atanasio, ne ha raccontato la vita in uno scritto che si presenta sotto forma di una lettera indirizzata ai monaci d’occidente per offrire loro un modello di vita monastica. Antonio non ha fatto nulla di straordinario; ha ascoltato le parole dell’evangelo e le ha messe in pratica. Nella sua biografia si racconta che a vent’anni circa udì leggere in chiesa il racconto della vocazione del giovane ricco e “come se la lettura fosse proprio per lui, subito uscì dalla casa del Signore, donò alla gente del suo villaggio i beni che aveva ereditato dai genitori” (Vita di Antonio 2,4) e iniziò quel cammino che lo portò a cercare sempre di più il Signore e a cercare sempre di più l’amore per tutti gli uomini.
Potremmo raccontare tante cose di Antonio e del suo cammino; io mi limiterò a richiamare tre suoi insegnamenti.
Il primo insegnamento. Si racconta che un giorno Antonio disse: “Chi dimora nel deserto e cerca la pace è liberato da tre guerre: quella dell’udito, della lingua e degli occhi. Gliene resta una sola: quella del cuore” (Detti 11). Nella vita c’è una guerra, una lotta da sostenere, ma non contro gli altri. Tante volte pensiamo di dover lottare contro gli altri, ma la vera lotta è quella con noi stessi. Quante volte, quando siamo soli, non ci sentiamo in pace; siamo irrequieti, oppure diventiamo tristi, un po’ depressi, non riusciamo a stare fermi. Cerchiamo di sottrarci alla solitudine e al silenzio perché ci fanno paura. Perché? Perché ci è così difficile restare soli nella pace? Antonio ce lo spiega: perché dobbiamo affrontare la guerra del cuore. Il nostro cuore è abitato da tante cose: da sentimenti di amore, ma anche da sentimenti di ostilità nei confronti di altri, da dispiaceri per tante cose che nella vita non sono andate come avremmo voluto, da gelosie, da invidie, da ricordi del passato, a volte belli e gioiosi ma spesso tristi e dolorosi. Il nostro cuore, il centro della nostra persona, non è mai vuoto. Ci sono tanti abitanti! Di Antonio si racconta che mentre se ne sta nella sua casetta vede venire il lupo, il leone, il serpente e tanti altri animali selvaggi. Ognuno di questi animali rappresenta un sentimento cattivo; il leone è simbolo dell’aggressività, il serpente dell’inganno, e così via. Antonio vede questi sentimenti che lo tentano sotto forma di animali selvaggi e deve lottare, deve dire di no a questi sentimenti e lasciare entrare nel suo cuore solo sentimenti secondo l’evangelo: pace, amore, perdono carità. Tante volte pensiamo di essere cristiani perché abbiamo ricevuto il battesimo, perché andiamo a messa la domenica ... ma il nostro cuore è diventato cristiano? Nel nostro cuore abita l’evangelo? Ecco il primo insegnamento di Antonio: sostenere la lotta del cuore, perché non sia abitato da pensieri cattivi.
Un secondo insegnamento: l’amore per tutti. Antonio cercava di essere buono con tutti ed era amato da tutti. Da ciascuno imparava qualche cosa. Ci viene detto che era come un’ape sapiente (Vita di Antonio 3,4) che andava a posarsi su ciascun fiore e da ciascuno traeva qualcosa per produrre il miele. Così Antonio imparava da tutti, aveva l’umiltà di imparare da tutti. “Di uno contemplava la simpatia, di un altro l’assiduità nella preghiera, in uno osservava la mitezza, in un altro l’amore per il prossimo” (Vita di Antonio 4,1). Mentre noi vediamo subito i difetti degli altri, quello che c’è di male, di cattivo, Antonio guardava gli altri con occhi buoni e sapeva cogliere in ciascuno quello che aveva di buono. Da tutti si può imparare. Certo, bisogna essere umili e non sentirsi maestri, ma anche noi possiamo diventare come l’ape sapiente, cercare di vedere il bene che c’è negli altri e imparare da ciascuno. Potremmo chiederci che cosa diamo e che cosa riceviamo nei nostri incontri con gli altri. Di Antonio si dice che Dio l’aveva dato all’Egitto come un medico, come uno che sa curare le sofferenze, le tristezze, i cattivi sentimenti degli altri. Si dice nella sua biografia: “Chi andò da lui nel dolore e non tornò nella gioia? Chi andò da lui piangendo i suoi morti e non depose il suo lutto? Chi andò da lui nella collera e non si convertì alla pazienza e all’amore?” (Vita di Antonio 87,3 ss.). Il testo continua con una serie di domande. Che cosa ci vuol dire? Che Antonio sa offrire il dono di una parola buona, una parola che sa consolare chi è triste, una parola che sa calmare chi è arrabbiato, una parola di pace, di speranza, di carità. Ecco che cosa dovrebbe avvenire nei nostri incontri con gli altri: dovremmo imparare e donare. Tutti abbiamo qualcosa da imparare, tutti abbiamo qualcosa da donare. Un gesto di pace, un sorriso, una parola buona. Ma possiamo dare soltanto quello che abbiamo nel cuore. Se non abbiamo lottato per avere un cuore rappacificato, non sapremo donare la pace; se non abbiamo speranza dentro di noi, non sapremo darla nemmeno agli altri.
Infine, un terzo insegnamento. Antonio vive a lungo, più di cento anni. È interessante la descrizione che ci viene data di Antonio vecchio, vicino alla morte. Nella nostra fantasia pensiamo che era un asceta, che dovrebbe essere emaciato, provato dai digiuni e dalle penitenze. Ce lo immaginiamo come un uomo austero, che non ride mai. E invece quando la biografia di Antonio ci offre il suo ritratto, ci dice che si conservò in ottima salute. “Aveva occhi sanissimi e ci vedeva bene, non gli era caduto nessun dente, erano solo consumati sotto le gengive a motivo dell’età avanzata. Mani e piedi erano sani e appariva vivace e forte” (Vita di Antonio 93,1-2). Perché viene fatta questa descrizione così dettagliata? Che cosa vuol dire? Ci viene detto che la nostra vita interiore si riflette anche nel nostro corpo, che il nostro volto, la nostra persona rispecchia i sentimenti che noi viviamo nelle profondità del nostro cuore. La vita cristiana è una vita bella, gioiosa; c’è una guerra da sostenere, la guerra del cuore, ma il frutto di questa guerra è la pace, la rappacificazione con tutti, l’amabilità, l’amare. È una via aperta a tutti. A tutti noi è possibile vivere così. Ma come fare? Ancora una volta Antonio ha qualcosa da insegnarci. Quando si rende conto che la morte è vicina, chiama gli altri monaci e lascia come testamento queste parole: “Io, me ne vado per la via dei padri. Vedo che il Signore mi chiama. Voi siate vigilanti come se cominciaste soltanto adesso ad essere cristiani. Non temete i sentimenti cattivi, anche se sono forti. Non temeteli e respirate sempre Cristo” (Vita di Antonio 91). Ricominciare, ricominciare sempre, senza stancarsi mai e non avere paura se alle porte del nostro cuore si affacciano sentimenti cattivi. Possiamo vincerli, possiamo diventare buoni. A una condizione, dice Antonio, quella di respirare sempre Cristo. Antonio è stato un uomo di preghiera, era un monaco, pregava diverse volte al giorno, leggeva la Scrittura, pregava i salmi, ma, dice Antonio, la vera preghiera è respirare sempre Cristo, custodire il ricordo del Signore dentro di noi tanto quanto respiriamo. È un metodo di preghiera semplice, facile, che possiamo praticare tutti in qualsiasi situazione: di tanto in tanto nel profondo del nostro cuore ripetere il nome di Gesù, mettere davanti a lui i nostri pensieri, i nostri desideri, i nostri dispiaceri, lasciare che venga lui ad abitare dentro di lui. Allora sarà il Signore stesso ad amare attraverso di noi.

Per saperne di più: Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio, Antonio abate, Detti-Lettere, a cura di L. Cremaschi, Paoline, Milano 1995.

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