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Lidia Maggi "Insegnaci a contare i nostri giorni"

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La meditazione biblica della pastora Lidia Maggi è andata in onda domenica 31 dicembre 2017 durante il «Culto evangelico», trasmissione di Radiouno a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

in “Riforma” - settimanale delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi – del 5 gennaio 2018
Fare bilanci a fine anno, investigare i giorni appena trascorsi può aiutarci a proseguire il cammino, a ritrovare la direzione perduta, a farci uscire dai sentieri interrotti. Per andare avanti, a volte, bisogna guardarsi indietro.
C’è un salmo che, nelle chiese riformate, viene utilizzato all’inizio di un nuovo anno. Una preghiera attribuita a Mosè, l’amico di Dio. Di Mosè ci viene raccontata la nascita e la morte. Alla fine del suo lungo viaggio, dopo aver condotto il popolo sulla soglia della terra promessa, Dio mostra a Mosè la terra che le generazioni future abiteranno. Lui non vi entrerà; è chiamato ad abitare un’altra terra: quella dell’eternità.
Mosè muore sulla bocca di Dio, che si riprende il soffio vitale con un bacio. E sarà Dio stesso a seppellirlo in un luogo segreto, che nessuno conosce. Mi piace immaginare che, di tanto in tanto, Dio vada a passeggiare nei pressi di quella tomba, nell’attesa del giorno in cui anche il suo amico sarà ridestato...
Mosè ha vissuto una lunga vita, fatta di giorni buoni e cattivi. E proprio a lui, che ha conosciuto la pienezza dell’esistenza, viene attribuito il salmo della fragilità della vita.
***
Insegnaci a contare i nostri giorni. Contare i nostri giorni non è un’abilità contabile, per non rischiare di andare in rosso sui propri propositi. Nella Bibbia, contare è raccontare. È tornare su quanto abbiamo vissuto per inserire i singoli eventi in una mappa di senso, in una trama che non è solo soggettiva, ma ci colloca nell’orizzonte più ampio di una storia. Imparare a contare i nostri giorni è scoprire che la nostra vicenda umana è all’interno di una storia di salvezza, è parte delle grandi narrazioni di Israele, di un popolo incontrato da Dio che ha fatto esperienza di liberazione e ha riconosciuto nel suo cammino la presenza costante e fedele del suo Signore.
Invece, sentiamo di avere i giorni contati – solo contati! – quando perdiamo il contatto con la nostra storia, con gli eventi che ci hanno portato dove siamo, le radici che ci hanno alimentato e continuano a nutrirci e le mancanze, le assenze che ci spingono a cercare, a chiedere, a pregare, girando perlopiù a vuoto.
Un anno che si conclude è l’occasione per guardarsi indietro e imparare a contare i nostri giorni. Ma senza fare i commercialisti. Non si tratta di compilare la nostra dichiarazione dei redditi per scoprire se siamo in credito o in debito con Dio. Al di fuori di ogni contabilità, Dio ci accoglie e ci ama (sola grazia).
Guardare indietro per andare avanti e contare, raccontare i nostri giorni è anche un modo per ritrovare fiducia. La fede biblica è soprattutto questo: fiducia in Dio, nella vita, nel domani. Fiducia che è anche prenderci cura dei nostri fragili giorni. In che modo? Raccontandoli, inserendoli in una trama che non li banalizzi, che dia loro il giusto rilievo, quello per cui Dio stesso ci ha voluti in vita.
Alla scuola della Scrittura impariamo a riconoscere, nei giorni trascorsi, la presenza di Dio, a scorgere le orme di chi ci ha accompagnato per ritrovare quello sguardo riconoscente che apre al ringraziamento, alla celebrazione della vita.
***
Certo, nel riandare all’anno trascorso, troveremo giorni buoni e altri meno buoni, forse feroci. Ma siamo qui, possiamo raccontarli, li abbiamo attraversati e altri ancora si aprono davanti a noi. Non è scontato.
La vita è fragile, i nostri giorni non sono infiniti: sono come l’erba che verdeggia la mattina; la mattina essa fiorisce e verdeggia, la sera è falciata e inaridisce.
Forse è proprio questo che la rende preziosa. Non possiamo permetterci di sprecare i nostri giorni, di buttarli via, prima ancora che fioriscano e verdeggino.
Quante vite inaridiscono senza fiorire... Sono seccate già al mattino a motivo del risentimento, del rancore, dell’ingratitudine. Dietro di noi, solo deserto.
A questo proposito, il salmo parla dell’ira di Dio e del peccato umano: siamo consumati per la tua ira e siamo atterriti per il tuo sdegno. Tu metti le nostre colpe davanti a te e i nostri peccati nascosti alla luce del tuo volto.
Volete che Dio non si indigni per vite consumate nel lamento, nell’odio, nel disprezzo? Nella Bibbia il peccato non ha un significato moralistico, come di solito lo intendiamo noi: un trasgredire la legge. No, per le Scritture peccare è sbagliare il bersaglio, fallire il senso della propria esistenza.
Pecca chi vive in difesa, chi si consuma nel risentimento e nei sensi di colpa. Peccare è fare inaridire la propria vita, non credere che possa fiorire.
Per questo Dio si indigna; certo che si indigna! A questo Signore che non sopporta di vedere le nostre vite bloccate, Mosè urla: convertiti Dio, cambia strada, non donarci ancora il tuo sguardo di disapprovazione, ma saziaci con il tuo amore gratuito e donaci un cuore saggio per poter contare, raccontare i nostri giorni. Giorni fragili segnati dalla fatica e dal dolore ma anche dallo stupore e dalla bellezza.
Mi fermo e penso a una ragione, una sola, per cui valga la pena vivere e canto: «Come posso io non celebrarti vita... o vita, o vita».

Signore, tu sei stato per noi un rifugio d’età in età.
Prima che i monti fossero nati
e che tu avessi formato la terra e l’universo,
anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio.
Tu fai ritornare i mortali in polvere,
dicendo: «Ritornate, figli degli uomini».
Perché mille anni sono ai tuoi occhi
come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di guardia di notte.
Tu li porti via come in una piena;
sono come un sogno.
Son come l’erba che verdeggia la mattina;
la mattina essa fiorisce e verdeggia,
la sera è falciata e inaridisce.
Poiché siamo consumati per la tua ira
e siamo atterriti per il tuo sdegno.
Tu metti le nostre colpe davanti a te
e i nostri peccati nascosti alla luce del tuo volto.
Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira;
finiamo i nostri anni come un soffio.
I giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni;
o, per i più forti, a ottant’anni;
e quel che ne fa l’orgoglio, non è che travaglio e vanità;
perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
Chi conosce la forza della tua ira
e il tuo sdegno con il timore che t’è dovuto?
Insegnaci dunque a contar bene i nostri giorni,
per acquistare un cuore saggio.
Ritorna, Signore; fino a quando?
Muoviti a pietà dei tuoi servi.
Saziaci al mattino della tua grazia,
e noi esulteremo, gioiremo tutti i nostri giorni.
Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti
e degli anni che abbiamo sofferto tribolazione.
Si manifesti la tua opera ai tuoi servi
e la tua gloria ai loro figli.
La grazia del Signore nostro Dio sia sopra di noi,
e rendi stabile l’opera delle nostre mani;
sì,l’opera delle nostre mani rendila stabile.
(Salmo 90, 1-17)
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