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Daniel Attinger La Gerusalemme celeste !

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LA GERUSALEMME CELESTE !
Biella (ultima dom. dell’anno liturgico), 26 novembre 2017

Testi delle letture: Apocalisse 21,1-8 ; Luca 19,41-44


Ap 21 1 Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più. 2 E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scen­dere dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3 Udii una gran voce dal trono, che diceva: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. 4 Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate”.
5 E colui che siede sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. Poi mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere”, e aggiunse: 6 “Ogni cosa è compiuta. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuita­mente della fonte dell’acqua della vita. 7 Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio. 8 Ma per i codardi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda”.

Mc 13 41 Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: 42 «Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace! Ma ora è nascosto ai tuoi occhi. 43 Poiché verranno su di te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte; 44 abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata».

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Cari fratelli e sorelle,

Con questa domenica giungiamo al termine dell’anno liturgico; domenica prossima, infatti, inizierà il tempo di Av­vento, tempo che ci convoca per un nuovo inizio e ci ricorda che ogni giorno occorre ricominciare – forse non proprio da capo –, e che, soprattutto a una certa età, si deve sempre rimettere in moto la nostra macchina: il nostro corpo e la no­stra mente per essere pronti per la venuta del Signore.
L’ultima domenica dell’anno liturgico insiste forse meno sul da fare; mette invece in evidenza ciò che aspettiamo. Detto in modo sintetico: se il tempo dell’Avvento è tempo di vigilanza, questa domenica conclusiva del periodo liturgico è giorno di speranza. La litur­gia delle Chiese valdesi propone come lettura di meditazione per questa domenica il bel testo che abbiamo letto nell’Apocalisse di Giovanni, testo che annuncia che non aspettia­mo solo la venuta del Signore nella sua gloria, ma anche la manifestazione della città san­ta, la Gerusalemme nuova.

Come voi, non ho visitato, né visto la Gerusalemme celeste; ho invece vissuto a lungo nella Gerusalemme terrestre, dalla quale la città che aspettiamo prende il nome. Ciò signi­fica che esiste un certo legame tra queste due città. Nel lungo tempo vissuto a Gerusalem­me, una cosa mi ha sempre intrigato: perché la città che aspettiamo porta questo nome? Perché non si chiama la Roma eterna, la New York celeste o la Ginevra di lassù?
Una prima risposta, banale, potrebbe essere che queste ultime città, a parte Roma, non esistevano al tempo della prima comunità cristiana, e Roma era la potenza di occupa­zione, perciò nell’Apocalisse è paragonata alla grande Babilonia, la città perfida per eccel­lenza. Ma se la Scrittura non poteva prendere queste città come punto di riferimento, c’era la splendida città di Alessandria, o anche la prestigiosa Antiochia: due capitali orientali dell’Impero romano del tempo. Perché proprio Gerusalemme?
Evidentemente, la risposta sorge immediata dall’Antico Testamento: Gerusalemme è la città per eccellenza del popolo ebraico, perché là Dio aveva deciso di porre il suo nome e là sorgeva il tempio. Era quindi normale che un credente nutrito di Scrittura pensasse a un avvenire centrato su una nuova Gerusalemme. Ma un cristiano potrebbe dire che Gesù ha messo fine a questa visione quando ha spiegato alla donna samaritana che era giunta l’ora in cui non si sarebbe più adorato Dio sul monte Garizim o a Gerusalemme, perché Dio voleva essere adorato in Spirito e Verità (cf. Gv 4,21).
Tutto ciò è vero, ma è dimenticare che Dio non è una macchina o un robot: è un Dio che in un certo modo ci assomiglia, poiché ha fatto di noi la sua immagine. E la Scrittura non cessa di parlare del “cuore di Dio”. Ciò significa che Dio conosce, come noi, le emozio­ni. Anche in Dio c’è una passione: una passione di amore per noi!
Ebbene, Dio prova un amore particolare per Gerusalemme, quella di quaggiù. Lo dice un bel testo del profeta Isaia che riferisce questa parola di Dio per Gerusalemme:

Una donna dimentica forse il suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero, io non ti dimenticherò.
Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato,
le tue mura sono sempre davanti a me (Is 49,15-16).

Dio è talmente innamorato della Gerusalemme terrestre che ne ha inciso la piantina sulle palme delle sue mani per poter, con questo modello, edificare la Gerusalemme cele­ste. Il che ci può rassicurare su quella città futura, perché se fosse come la descrive l’Apo­calisse allora potremmo essere presi da incubi. Secondo Ap 21, infatti, la Gerusalemme celeste è un gigantesco cubo di 3000 km di lunghezza, di altezza e di larghezza. Per di più è cinta di mura di ben 60 m di altezza e le sue piazze sono lastricate di oro. Chi vorrebbe vivere in una tale città? Questi dati sono evidentemente simbolici … ma preferisco imma­ginare la città del futuro come la città vecchia di Gerusalemme, con le sue viuzze, i suoi rumori, i suoi bambini e i suoi odori di mille spezie mescolate.

Forse direte: cosa c’entra tutto ciò con l’Evangelo? C’entra, eccome! Evidentemente non per dirci come sarà la Gerusalemme nella quale Dio ci farà vivere, ma perché queste riflessioni sulla Gerusalemme di lassù ci dicono qualcosa del nostro Dio. Egli non è il giu­dice tremendo degli ultimi tempi, con il quale si è cercato di spaventare i cristiani per secoli, per metterli in riga e farli camminare dritto.
Vorrei rilevare un tratto del testo che abbiamo letto: vi si dice che “Dio abiterà con gli uomini e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”; vi è qui un aspetto di Dio simile a ciò che dice Isaia quando lo paragona a una madre che non dimentica i propri figli. È un tratto di Dio che ritroviamo in Gesù quando giunge in vista di Gerusalemme.
Ogni ebreo prova un attaccamento viscerale per Gerusalemme, attaccamento inscrit­to sulla sua pelle, perché è la città scelta da Dio dove abita in mezzo al suo popolo. Questo attaccamento è talmente forte, che si va fino a venerare le pietre e la polvere di Gerusalem­me, lo dice il salmista: “I tuoi servi hanno care le sue pietre, per la sua polvere provano amore” (Sal 102,15). Questo non vale solo per l’ebreo praticante, vale anche per l’agno­stico; e vale pure per Gesù!

Ora ecco: Gesù giunge a Gerusalemme – è la prima volta che ci arriva da adulto – ma non esulta come fanno i pellegrini che arrivano a Gerusalemme. No, piange sulla città dicendo:
Se avessi compreso, in questo giorno, ciò che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata (Lc 19,42-44).
È un atteggiamento sconvolgente: Gesù non piange di gioia, le lacrime non gli vengo­no dall’emozione di vedere Gerusalemme. No, è un lamento, un canto funebre; è il pianto dello sposo tradito dalla moglie amata; è il lamento sull’incomprensione di Gerusalemme circa la via della pace, per cui il suo futuro non può essere che futuro di guerra, di assedio, di morte. In questa descrizione Luca si è ispirato alla conquista e alla distruzione di Geru­salemme da parte di Tito, nel 70 d.C. In questo pianto di Gesù sta la nostra speranza: è il segno dell’infinita compassione di Dio per noi, nonostante ciò che siamo e facciamo: come un madre, egli non si può dimenticare di noi, anche quando lo rinneghiamo.
La Gerusalemme di lassù non è altro che la parabola dell’amore sconfinato di Dio per noi … A Lui la gloria per tutti i secoli. Amen.
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