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Luca Mazzinghi Missione dei saggi di fronte a un mondo lontano dalla fede

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La rubrica “Parola e Missione”, inaugurata nove anni fa, per ripensare la missione a partire dalla parola di Dio, nel 2017 passa di mano: dal biblista di Padova, Carlo Broccardo – che ringraziamo per la puntualità e la competenza con cui ci ha accompagnato attraverso l’opera lucana –, ritorniamo al Primo (Antico) Testamento, con il biblista di Firenze, Luca Mazzinghi, che ci condurrà a riflettere sulla missione dei cristiani nel mondo alla luce del Libro della Sapienza. (n.d.r.)


Tra i libri della Bibbia ve ne sono alcuni che vengono chiamati “sapienziali”; si tratta dei Proverbi, di Giobbe, del Qohelet, del Siracide, della Sapienza. Ciò che li accomuna è il fatto che tutti hanno al centro il tema della sapienza. Ora, essere saggi, per gli antichi maestri di Israele, non è una questione di sapere intellettuale. Il saggio è una persona che sa vivere, facendo tesoro della sua esperienza, che, proprio partendo dall’esperienza, ha trovato Dio. Scopo dei saggi è di proporre ai giovani un cammino educativo, attraverso il quale essi possano formarsi alle loro future responsabilità, in particolare a quelle politiche all’interno delle loro comunità.

La sapienza biblica ha così un valore missionario, almeno nel senso che ha lo scopo di preparare chi la accoglie a una missione di responsabilità nei confronti degli altri.

IL LIBRO DELLA SAPIENZA

L’ultimo di questi libri, in ordine cronologico, è quello della Sapienza. Siamo alla fine del I secolo a.C., alle soglie del Nuovo Testamento. L’autore di quest’opera, densa e non sempre facilissima, è un ebreo che vive nella grande città di Alessandria d’Egitto. I suoi discepoli sono giovani ebrei che, trovandosi a vivere in un mondo dove la cultura dominante è quella greca, sono chiamati ad assumersi ruoli di impegno sociale e politico all’interno della locale comunità giudaica, che ad Alessandria aveva un’ampia autonomia interna. Il saggio che ha composto questo libro intende inoltre costruire un ponte con il mondo greco, educare i giovani ebrei al dialogo con una realtà del tutto diversa dalla loro.

QUALE MISSIONE?

Qualche spunto proveniente dal libro della Sapienza può dunque essere utile per riflettere meglio su un tipo particolare di missione: come porci oggi di fronte a un mondo spesso lontano dalla fede cristiana, per cultura, per sensibilità, per valori etici? Per non rischiare di rimanere su un terreno troppo astratto, è utile proporre subito la lettura di un testo: Sap 1,1-5:

Amate la giustizia, voi che governate sulla terra, riflettete sul Signore con animo ben disposto e con semplicità di cuore cercatelo, perché egli si lascia trovare da coloro che non lo tentano e si manifesta a quelli che non mancano di fede in lui. I ragionamenti tortuosi, infatti, separano da Dio, cosicché la potenza divina, messa alla prova, punisce gli stolti. Perché in un’anima che trama il male non entrerà la sapienza né essa potrà abitare in un corpo schiavo del peccato. Il santo spirito dell’educazione, infatti, rifuggirà dall’inganno e se ne andrà lontano dai ragionamenti insensati e sarà scacciato al sopraggiungere dell’ingiustizia.

L’autore si rivolge ai governanti, invitandoli ad amare la giustizia. Non è plausibile che un giudeo del I sec. a.C. intendesse rivolgersi davvero ai re di tutta la terra, almeno di quella allora conosciuta. L’esortazione ai governanti ha in realtà un duplice scopo. Anzitutto, i veri destinatari sono, come si è detto, quei giovani ebrei di Alessandria che dovevano essere educati alle loro future responsabilità nei confronti della società. Dunque, la metafora dei governanti si presta bene allo scopo. C’è di più: il nostro autore utilizza un’idea frequente nella filosofia allora dominante ad Alessandria, ovvero lo stoicismo. Secondo gli stoici, ogni re deve essere saggio, ma vale anche il contrario: ogni saggio è come se fosse un re.

Ovvero, per essere persone importanti non serve un titolo politico: è sufficiente essere saggi.

LA RICERCA DEL DIO DELLA VITA

La saggezza va qui di pari passo con l’amore per la giustizia; ma non basta. Alla giustizia deve affiancarsi la capacità di cercare il Signore, di pensare a lui con animo semplice e ben disposto. Chi è chiamato a responsabilità politiche deve saper unire la passione per la giustizia alla capacità di mettersi alla ricerca di Dio. Scoprendo che, come afferma il v. 2, egli si lascia trovare da coloro che lo cercano. L’allusione alla manifestazione di Dio nei confronti di chi non lo mette alla prova ci rimanda a una pagina dell’Esodo.

Al capitolo 17 si racconta che gli israeliti misero alla prova il Signore nel deserto; di fronte alla mancanza di acqua mormorano contro il Signore, il quale si manifesta con il dono dell’acqua. Resta però la domanda: “il Signore è in mezzo a noi, sì o no?” (Es17,7). A questa grave e attuale domanda sembra rispondere l’autore: sì, il Signore è vicino a chiunque è disposto a incontrarlo. I vv. 3 e 4 ricordano anche che il Signore è capace di punire e che, in ogni caso, non accetta il male. Al di là dell’idea di un Dio che punisce, resta l’immagine di questo stesso Dio che non sopporta il male.

CON IL MAESTRO PIÙ AUTOREVOLE

Tutt’a un tratto, il v. 5 introduce a lato della sapienza una figura nuova: il santo spirito dell’educazione. Lo spirito di Dio è una figura ben nota nella Bibbia di Israele; è l’attività divina nei confronti dell’umanità, realtà che nel Nuovo Testamento si svelerà come persona. Qui si tratta dello spirito dell’educazione, un concetto caro alla cultura greca; l’educazione è il complesso dei valori offerti al giovane per la sua formazione e la sua crescita. Per l’autore della Sapienza, lo spirito di Dio è il maestro più autorevole: vv. 6-7:

La sapienza, infatti, è uno spirito amico degli uomini, e tuttavia non lascerà impunito chi bestemmia con le proprie labbra, perché Dio è testimone dei suoi sentimenti ed è il vero scrutatore del suo cuore e ode ciò che dice la lingua. Perché lo spirito del Signore riempie la terra e lui che tiene insieme tutte le cose, conosce ogni voce.

CHE RIEMPIE L’UNIVERSO

Proseguendo nella lettura del primo capitolo, scopriamo qualcosa di più sulla sapienza: essa è descritta come uno spirito amico degli uomini. La sapienza, accostata qui allo spirito di Dio, è una realtà interiore all’essere umano, del quale è descritta come amica, che tuttavia non tollera la bestemmia, ovvero il rifiuto di Dio. Ma questo Dio, proprio attraverso il suo spirito, riempie l’intero universo (v. 7).

Qui il nostro saggio si rivela particolarmente coraggioso: l’idea dominante della filosofia stoica è che il mondo non è creato, che non esiste un Dio personale; il mondo è un tutto animato dallo spirito di un Dio che è in tutte le cose e tutte in qualche modo sono divine; una posizione spesso definita come “panteismo”. Usando il linguaggio proprio della corrente filosofica allora dominante, l’autore della Sapienza afferma che sì, il Dio della Bibbia riempie l’universo, ma non si mescola con esso. Il Creatore è presente nelle sue creature, ma rimanendo distinto da loro; egli infatti è colui che “tiene insieme tutte le cose” e “conosce ogni voce”. Ma in questo modo il libro della Sapienza entra in dialogo con la cultura del suo tempo.

TRA LE PIEGHE DEL MONDO: MORTE O SALVEZZA?

Il primo capitolo si chiude su una nota molto positiva: il Dio della Bibbia è il Dio della vita: vv. 13-15:

Perché Dio non ha fatto la morte, né gode per la perdizione dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza, portatrici di salvezza sono le generazioni del cosmo e non c’è in esse veleno di rovina né il regno dell’Ade è sulla terra; la giustizia, infatti, è immortale.

Dio non ha fatto la morte! L’annuncio dell’autore è quasi gioioso; ma, se la morte non fa parte del progetto di Dio, se tutto è stato creato per l’esistenza, da dove viene la morte? L’autore darà una risposta nel capitolo successivo: la morte è un’intrusa che nasce dal peccato. Ma qui ci interessa il fatto che la creazione (“le generazioni del cosmo”) è portatrice di salvezza e nelle cose create non c’è alcun segno di morte, né il mondo della morte (l’Ade, nel linguaggio usato dal nostro saggio) ha potere sulla terra. È la giustizia di Dio che offre al mondo e agli esseri umani una vita senza fine.

Missione del saggio è così portare all’umanità una visione positiva del cosmo; la morte non è l’ultima parola della vita e gli stessi elementi del cosmo sono parte di un disegno di salvezza che Dio ha sul mondo intero.

Oggi, di fronte alla visione del mondo che nasce da un approccio scientifico e razionale, sembra esserci poco spazio per le parole di questo vecchio saggio ebreo. Eppure la missione del credente resta in fondo la stessa: far sì che gli umani intravedano, tra le pieghe di un mondo dove la morte sembra aver sempre l’ultima parola, le tracce di un Dio della vita che, appunto, “ha creato tutto per l’esistenza”.

Fonte: Saveriani
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