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Enzo Bianchi Commento Vangelo Palme e Passione

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Nella libertà e per amore 
29 marzo 2015 
Domenica delle Palme e della Passione del Signore
Commento al Vangelo 
di ENZO BIANCHI 
dal sito del Monastero di Bose


Mc 14,1-15,47 

Il racconto della passione di Gesù, che la liturgia oggi ci propone accanto a quello dell’entrata festosa di Gesù in Gerusalemme (Mc 11,1-10), occupa quasi un quinto dell’intero vangelo secondo Marco; non potendo dunque farne un commento puntuale, mi limiterò a uno sguardo d’insieme che ne evidenzi gli elementi principali.


Questa narrazione mette alla prova il nostro sguardo di fede su Gesù: siamo quasi costretti a patire lo scandalo e la follia della croce (cf. 1Cor 1,23), siamo posti di fronte all’esito fallimentare della vita di Gesù. Colui che è passato in mezzo alla sua gente facendo il bene (cf. At 10,38), curando i malati e talvolta guarendoli, e costringendo il demonio ad arretrare; colui che, quale “profeta potente in opere e in parole” (Lc 24,19), ha attirato a sé le folle fino a entrare nella città santa tra acclamazioni trionfali; colui che è riuscito a radunare intorno a sé una comunità itinerante di uomini e donne; quest’uomo, Gesù di Nazaret, conosce una fine impensabile, la sua vita approda a una morte fallimentare. Ogni lettore attento del vangelo, ogni discepolo non può che essere profondamente turbato da tale esito…

Dov’è finita – viene da chiedersi – la forza di Gesù, la potenza con cui egli liberava dalla malattia e dalla morte quanti ne erano segnati? “Ha salvato altri e non può salvare se stesso!” (Mc 15,31) – lo scherniscono i suoi avversari… Dov’è finito quel carisma profetico con cui egli annunciava ormai vicinissimo, anzi presente, il Regno di Dio (cf. Mc 1,15)? Perché nella passione Gesù è ridotto al silenzio e si lascia umiliare senza aprire la bocca (cf. Is 53,7)? Dov’è quell’autorevolezza riconosciutagli tante volte da chi lo chiamava maestro, lo acclamava profeta, lo invocava come Messia e Salvatore? Tutti coloro che sembravano suoi seguaci e simpatizzanti sono scomparsi, e Gesù è solo, abbandonato da tutti.

Ma l’enigma è ancora più radicale: dov’èDio durante la passione di Gesù? Quel Dio che sembrava essergli così vicino e che egli chiamava confidenzialmente “Abba”, cioè “papà caro”; quel Dio che lo aveva definito “Figlio amato” al battesimo (cf. Mc 1,11) e alla trasfigurazione (Mc 9,7); quel Dio per il quale Gesù aveva messo in gioco e consumato tutta la propria vita, dov’è ora? Non lo si dimentichi: la morte di croce è la morte del maledetto da Dio (cf. Dt 21,23; Gal 3,13), giudicato tale dalla legittima autorità religiosa di Israele, e, nel contempo, èil supplizio estremo inflitto a chi è ritenuto nocivo alla polis. Davvero Gesù è morto come un impostore, appeso tra cielo e terra perché rifiutato da Dio e dagli uomini…

È assai difficile rispondere a queste domande. Si può cominciare col notare che Gesù ha percorso questo cammino – giustamente definito via crucis, via della croce – pregando il Padre affinché lo sostenesse in quell’ora tenebrosa, “supplicando Dio con forti grida e lacrime” (cf. Eb 5,7); in tutto questo, però, ha sempre lottato per abbandonarsi in Dio e cercare di compiere la sua volontà, non la propria (cf. Mc 14,36). Sì, Gesù ha avuto fede, ha creduto che Dio non lo avrebbe abbandonato, che sarebbe rimasto con lui, dalla sua parte, nonostante le apparenze di segno opposto e il reale fallimento umano della sua vita e della sua missione.

Ma per comprendere appieno la passione di Gesù, così da poterlo seguire in essa senza scandalizzarsi, è fondamentale approfondire il senso del gesto eucaristico dell’ultima cena (cf. Mc 14,17-25). Gesù ha compiuto tale atto per evitare che i discepoli leggessero la sua morte come un evento subìto per caso, oppure dovuto a un destino ineluttabile voluto da Dio. Nulla di tutto questo. Gesù ha infatti vissuto la propria fine nella libertà: avrebbe potuto fuggire prima che gli eventi precipitassero, avrebbe potuto cessare di compiere azioni e pronunciare parole al termine delle quali lo attendeva una condanna a morte. Ma non lo ha fatto; anzi, è rimasto fedele alla missione ricevuta da Dio, ha continuato a realizzare in tutto e puntualmente la volontà del Padre, anche a costo di andare incontro a una fine ignominiosa. E questo perché sapeva bene che solo così poteva amare Dio e gli uomini fino alla fine (cf. Gv 13,1)… Ecco, Gesù ha concluso la sua esistenza così come l’aveva sempre spesa: nella libertà e per amore di Dio e degli uomini! Affinché ciò fosse chiaro, Gesù ha anticipato profeticamente ai discepoli la sua passione e morte, spiegandola loro con un gesto capace di narrare l’essenziale di tutta la sua vicenda: pane spezzato, come la sua vita lo sarebbe stata di lì a poco; vino versato nel calice, come il suo sangue sarebbe stato sparso in una morte violenta.

Se, all’inizio del vangelo, Marco aveva scritto che i discepoli “abbandonato tutto, seguirono Gesù” (cf. Mc 1,18.20), nell’ora della passione si vede costretto ad annotare che essi, “abbandonato Gesù, fuggirono tutti” (Mc 14,50). Lo scandalo della croce permane in tutta la sua durezza e non va attutito, ma il segno eucaristico, memoriale della vita, passione e morte di Gesù, sarà capace di radunare di nuovo i discepoli intorno al Cristo Risorto. La comunità dei discepoli di Gesù potrà così attraversare la storia e giungere fino a noi, senza temere di affrontare anche le ore buie e le crisi: il suo Signore l’ha infatti preceduta anche in esse, vivendole nella libertà e per amore.

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