Clicca

Manicardi - 25 agosto 2013 XXI Tempo Ordinario

stampa la pagina
 Fonte: monasterodibose
domenica 25 agosto 2013
Anno C
Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30


Un raduno universale di popoli che trova in Gerusalemme il suo punto di incontro (I lettura) e la venuta escatologica di popoli che trovano in Gesù la porta stretta che dà accesso alla salvezza (vangelo); se Dio sceglierà sacerdoti e leviti anche tra popoli pagani (I lettura), le genti che verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno sederanno a mensa nel Regno di Dio (vangelo); se l’universale via alla salvezza passa attraverso Gerusalemme (I lettura), essa, specifica il vangelo, passa attraverso la porta stretta che è Gesù (“Io sono la porta”: Gv 10,7).


Gesù sta camminando verso Gerusalemme: sta seguendo il cammino stretto e angusto che lo porterà alla croce salvifica. Se egli chiede alle persone sforzo e lotta (il verbo greco usato in Lc 13,24 è agonízomai) per entrare attraverso la porta stretta che conduce alla vita, lui stesso dovrà lottare, entrare nello sforzo e nel combattimento spirituale (agón: Lc 22,44) per assumere l’evento doloroso della croce. Gesù vive in prima persona ciò che predica e che chiede ad altri.

La vita di fede richiede anche sforzo, fatica, lotta. Dunque anche sofferenza. Non che questo sforzo arrivi a meritare la salvezza, ma è il disporre tutto da parte dell’uomo affinché la grazia della salvezza possa trovare un cuore ben disposto ad accoglierla. La rimozione della fatica e della sofferenza dalla vita e dalla fede stessa è una tentazione. Per Paolo la fede è chiamata a divenire lotta: egli parla della “lotta (agón) della fede” (1Tm 6,12), la definisce “bella” (1Tm 1,18), cioè positiva e diversa da tutte le battaglie mondane, le crociate ideologiche e le contese con altre creature o gruppi umani. L’unica battaglia che nasce legittimamente dalla fede e anzi è esigita dalla fede, è la battaglia che sgorga dal battesimo e dall’aver rivestito Cristo: si combatte con armi spirituali (preghiera, pazienza, sobrietà, temperanza, dominio di sé…), contro il peccato (cf. Eb 12,1), il Maligno (cf. Ef 6,16) e non contro uomini o con armi e mezzi mondani (cf. Ef 6,12; 2Cor 10,3). Per Gesù la preghiera sarà la forma dello sforzo, del combattimento che al Getsemani egli condurrà e in cui troverà forza per proseguire il suo cammino (Lc 22,43: l’angelo gli “dà forza”, lo “corrobora”; verbo enischýo); così egli invita ora chi vuole percorrere il cammino della salvezza a sforzarsi e combattere perché molti “non avranno la forza” (verbo ischýo: Lc 13,24) di entrare attraverso la porta stretta della salvezza.

Se la porta della salvezza necessita di uno sforzo, essa abbisogna anche di altro. Essa infatti ha un padrone che la può aprire e chiudere. Per entrare occorre la conoscenza del padrone, l’intimità con lui, la buona relazione con lui. La salvezza è questione di relazione. Relazione che inizia già qui e ora con il Signore Gesù e che spera di divenire comunione con lui per sempre. Lo sforzo richiesto al credente è allora anche la salutare inquietudine di chi non ritiene di essere garantito – quanto alla salvezza – dalla propria appartenenza ecclesiale o dalla propria frequentazione sacramentale (mangiare e bere in presenza del Signore può anche alludere all’Eucaristia).

Il giudizio del Signore spiazza certezze e convinzioni umane e disloca le posture assunte: chi riteneva di essere vicino a lui (v. 26) viene svelato essere uno sconosciuto per Gesù; altri che erano distanti e non conoscevano Gesù diventano i suoi commensali nel banchetto del Regno (vv. 28-29). I primi diventano ultimi e gli ultimi primi (v. 30). Vi è una postura richiesta dalla relazione con il Signore: l’umiltà, l’ultimo posto, la non presunzione di sé e la non pretesa.

L’immagine del convito escatologico estende a livello universale ciò che Gesù ha vissuto nelle contrade della Giudea e della Galilea quando viveva la commensalità con pubblicani e peccatori e quando la sua pratica di umanità narrava che cos’è una vita redenta e salvata: una vita umanamente piena e dedita all’amore, una vita obbediente nella gioia alla volontà di Dio, una vita capace di amare la terra e gli uomini e di servire nella libertà e per amore Dio, il Padre.

LUCIANO MANICARDI
stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli