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Manicardi - 3 febbraio 2013 IV Tempo Ordinario

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domenica 3 febbraio 2013
Anno C
Ger 1,4-5.17-19; Sal 70; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30


Se il brano dell’Antico Testamento contiene la vocazione profetica di Geremia, il passo lucano mostra Gesù che si presenta come profeta, ponendosi in continuità con i profeti Elia ed Eliseo; questa vocazione profetica comporta conflitti e scontri sia per Geremia (il cui invio in missione assomiglia a una partenza per la guerra: cf. Ger 1,17-19) che per Gesù, che già nella sinagoga di Nazaret incontra opposizione e rigetto (cf. Lc 4,28-30).
Se Geremia è posto come “profeta per le genti” (Ger 1,5), Gesù, sulla scia di Elia ed Eliseo, proclama l’estensione dell’azione salvifica di Dio al di là di Israele (cf. Lc 4,24-27).

La parola di Gesù è portatrice di un giudizio e chiede agli ascoltatori di prendere posizione. La parola che Gesù pronuncia è parola non accomodata, non adattata, non ha come fine di compiacere gli uditori, ma è parola che scomoda gli ascoltatori e mette in pericolo chi la pronuncia. La parola profetica può essere pronunciata solamente a caro prezzo. Essa ha la forza della verità che fa emergere ciò che abita nel cuore dei destinatari: meraviglia e ammirazione finché viene percepita come innocua e addomesticabile, odio e rigetto non appena mette in discussione le sicurezze acquisite e i privilegi di cui si gode. Essa è intollerabile perché costringe l’ascoltatore a fare i conti con le tenebre del proprio cuore: pur di evitare questa dolorosa presa di coscienza si rigetta l’intollerabilità su colui che tale parola ha pronunciato.

Dietro la Parola che giudica vi è la presenza stessa di Gesù che suscita una presa di posizione: “Gesù è segno che sarà contraddetto affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). Sempre, di fronte a Gesù, si verifica una divisione tra chi lo accoglie e chi lo rifiuta, chi lo ascolta e chi lo bestemmia, perfino sulla croce (cf. Lc 23,39-43). Gesù obbliga a un’opzione, a una scelta. Incontrare Gesù significa essere condotti a fare verità nella propria vita accettando di riconoscere realisticamente il male che traversa o che occupa il nostro cuore: gelosia, invidia, odio. Il riconoscimento delle tenebre è la condizione per accedere alla luce.

La frase di Gesù che commenta il testo di Isaia proclamato liturgicamente (cf. Lc 4,18-19; Is 61,1-2) esprime bene lo schema elementare e perenne di ogni omelia: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura nei vostri orecchi” (Lc 4,21, traduzione letterale). La Scrittura, oggi, per voi: questi i tre elementi di ogni omelia. Essa verte su una pericope della Scrittura presentata dalla liturgia, traduce il suo messaggio nell’oggi e si rivolge a un uditorio preciso, alla comunità radunata. L’omelia è sempre una parola rivolta a, una parola indirizzata a un destinatario.

E sempre un’omelia, che è compito profetico che traduce nell’oggi storico la Parola eterna di Dio contenuta nella Scrittura, cerca di porre la comunità di fronte alla presenza di Cristo: infatti, “Cristo è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura” (Sacrosantum concilium 7). Guidare la comunità a compiere il passaggio dalla pagina biblica alla presenza di Cristo è l’opera di ogni buona omelia.

Proclamata la Scrittura, Gesù fa di sé un testimone della Scrittura stessa (e ogni omileta è chiamato a divenire testimone della Parola): dopo aver letto nel rotolo la vocazione del profeta veterotestamentario, presenta se stesso come profeta, ben sapendo che un profeta non trova accoglienza tra i suoi e nella propria patria. Ma se questo è vero del profeta, è vero anche di ogni cristiano: chi non conosce opposizioni e contraddizioni a causa della propria fede, in verità non è ancora entrato nella vita cristiana in profondità. Colui la cui parola è lodata e accettata da tutti e non incontra opposizioni o contestazioni, probabilmente è ancora lontano dalla parresia evangelica.

Servire la Parola di Dio rende stranieri in rapporto alla patria e crea un’appartenenza altra. Il profeta parla la parola altra che è la Parola del Dio a cui egli appartiene e il destino della Parola diviene il suo stesso destino: “La Parola venne tra i suoi e i suoi non la accolsero” (Gv 1,11).


LUCIANO MANICARDI
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