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Manicardi - 28 ottobre 2012 XXX tempo O.

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domenica 28 ottobre 2012
Anno B
Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52


Il rapporto tra fede e salvezza (cf. Mc 10,52); la fede che si esprime come lode (cf. Ger 31,7) e invocazione (cf. Mc 10,47-48); la salvezza di Dio che si manifesta come cambiamento delle sorti e che apre un cammino all’uomo (cf. Ger 31,8-9; Mc 10,52): questi alcuni temi che traversano il messaggio biblico delle pagine di Geremia e di Marco che sono anche accomunate dalla figura del cieco (cf. Ger 31,8; Mc 10,46ss.), centrale nel testo di Marco, in cui assume una importante valenza simbolica.

Più che un racconto di miracolo, il testo evangelico presenta un cammino esemplare di fede. Del resto, per Marco il cieco guarito è il tipo del discepolo, come è il tipo del catecumeno che, dopo essersi spogliato degli abiti (simbolicamente, dell’uomo vecchio: v. 50), conosce l’immersione battesimale scendendo nel buio delle acque e riemergendo da esse alla luce che gli consente di vederci chiaramente per camminare in una vita nuova tracciata da Gesù Cristo (il battesimo era chiamato anticamente “illuminazione”: v. 52). Il cammino di fede nasce dall’ascolto (v. 47), diviene invocazione e preghiera (vv. 47-48), discernimento e accoglienza di una chiamata (v. 49), incontro personale con il Signore (vv. 50-52a), sequela di Cristo (v. 52b). Questo cammino implica un dinamismo spirituale per cui l’uomo passa dalla stasi alla mobilità, dall’emarginazione alla comunione, dalla cecità alla fede. La salvezza poi, che consiste nella relazione con Gesù, viene esperita dal credente non tanto come stato a cui si perviene e in cui ci si installa, ma come cammino in cui si persevera.

I discepoli e la folla che si situano tra Gesù e il cieco divengono simbolo della comunità cristiana che ha ricevuto dal Signore il mandato di farsi ministra della sua chiamata (v. 49), ma rappresentano anche la possibilità della comunità cristiana di divenire ostacolo all’incontro degli uomini, in particolare dei più emarginati e demuniti (Bartimeo è cieco, mendicante e siede “ai lati della strada”, ai margini di una via e di una vita da cui è escluso). Molti infatti sgridavano il cieco per farlo tacere (v. 48). E così rivelano di essere loro i ciechi: credono di vederci, di sapere chi è Gesù e come devono comportarsi coloro che lo seguono, credono di difendere Gesù, di proteggerlo zittendo il cieco che grida. Ma la sequela di Cristo e l’ascolto della parola del Signore sono autentici se non sono scissi dall’ascolto del grido di sofferenza dell’uomo. Così, il sofferente, e in questo caso, il cieco, diviene il maestro che può aprire gli occhi a coloro che credono di vederci. Molte sono le situazioni di cecità dei discepoli: cecità per desiderio di primeggiare (cf. Mc 10,35-40), cecità per non-ascolto della Parola e incomprensione di Gesù, per chiusura nell’ostinatezza delle proprie convinzioni e durezza di cuore (cf. Mc 8,14-21, seguito dal racconto di guarigione di un cieco: Mc 8,22-26); cecità per troppo zelo (cf. Mc 9,38-40; 10,13-16; 10,48); cecità per ristrettezza di orizzonti e meschinità di visione così che si diviene scrupolosi osservanti dei dettagli della Legge dimenticando le cose davvero importanti e basilari (cf. Mt 23,23-24, dove scribi e farisei sono apostrofati come “guide cieche”); cecità perché non si ama il fratello (cf. 1Gv 2,11).


LUCIANO MANICARDI
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