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Manicardi - 23 settembre 2012 XXV tempo O.

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Fonte: monasterodibose
domenica 23 settembre 2012
Anno B
Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37


La sorte del giusto all’interno di un mondo segnato dall’ingiustizia e dal prevalere della spietata legge della forza è di essere soppresso (I lettura) e tale sorte è anche quella di Gesù che intravede l’esito cruento della sua vita predisponendosi a viverlo come occasione di fedeltà al Dio della vita e dell’amore, al Dio capace di far risorgere i morti (vangelo). Gesù, giusto sofferente, continua a credere al Dio che salva anche mentre va incontro al momento più buio della sua esistenza.

Gesù ripete l’annuncio della sua Pasqua già formulato precedentemente (cf. Mc 8,31), e dovrà ripeterlo ancora (cf. Mc 10,33-34). Ciò che è ripetuto è ciò che è importante, ma anche ciò che fatica a essere compreso. A livello antropologico ciò che è ripetuto è ciò che è essenziale e vitale; a livello teologico la ripetizione riformula l’evento fondamentale della salvezza – l’intervento di Dio nella storia – in situazioni, tempi e luoghi diversi. La ripetizione, all’interno della vicenda biblica, dice che la vicenda di Dio con l’umanità ha una sua semplicità che si sintetizza nell’evento pasquale, nella morte e resurrezione di Cristo.

L’espressione utilizzata da Gesù per indicare gli eventi che stanno per abbattersi su di lui è “essere consegnato nelle mani degli uomini”: colui che ha affidato la sua vita nelle mani di Dio, vedrà finire la sua vita in balia degli uomini, dei peccatori. La fede, come libera e volontaria consegna della propria vita al Signore, consente di vivere anche l’abbandono nelle mani degli uomini e la reificazione che questo comporta come parte integrante del cammino verso Dio.

L’annuncio da parte di Gesù della sua prossima morte segna un momento critico nel rapporto con la sua comunità. La parola di Gesù, che dovrebbe orientare il cammino dei discepoli e della chiesa, diviene motivo di scandalo. I discepoli non comprendono la sua parola e hanno paura di chiedergli spiegazioni. Meglio il buio che la luce, meglio l’incoscienza che la dolorosa ricerca della verità: questa sembra essere la condizione dei discepoli. Si può seguire Gesù senza interrogarlo e senza interrogarsi sul senso della sequela, senza pensare e riflettere, senza domandare e interrogare la fede stessa. Si può seguire Gesù senza cercarlo, per forza di abitudine, e la paura è la più efficace custode delle abitudini.

La comunicazione tra discepoli e Gesù è ostruita: essi non comprendono le sue parole e non rispondono alle sue domande; per paura non lo interrogano, per vergogna e cattiva coscienza non gli rispondono. E a tale incomprensione e non comunicazione “ecclesiale”, dell’intero gruppo dei discepoli nei confronti di Gesù, segue l’instaurarsi nello spazio comunitario della logica della competizione, del primeggiare, dell’imporsi. Se la logica della forza conduce a mettere a morte il giusto, la non assunzione della morte di Cristo nel cammino di sequela crea logiche di forza e di potere nello spazio ecclesiale. La comunicazione intra-ecclesiale e inter-ecclesiale può divenire incontro e comunione solo se la parola del vangelo (con l’evento pasquale che è al suo centro), regna come terzo tra i dialoganti.

Tale parola, che è il Cristo risorto e vivente, chiede alla chiesa di assumere la logica di Cristo: il primo deve essere l’ultimo di tutti. Il bambino vive una condizione di dipendenza, di schiavo (cf. Gal 4,1), dunque è figura del servo. Ma il gesto di Gesù, che mette in mezzo ai discepoli un bambino, assume anche il valore di insegnamento in riferimento alle patologie di comunicazione che i discepoli stanno vivendo: solo l’accoglienza reciproca nei confronti del più piccolo e demunito è degna di una comunità cristiana. A chi ambisce i primi posti fondandosi sulla propria “grandezza”, Gesù oppone il piccolo e ultimo per eccellenza, il bambino. Accoglierlo “nel mio nome” (Mc 9,37) significa entrare in una relazione sacramentale in cui si accoglie Gesù stesso quale servo, e si accoglie Dio che l’ha inviato. Così Dio viene ad assumere l’ultimo posto e contesta le pretese di primato dei discepoli.


LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno B
© 2010 Vita e Pensiero
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